Da quando Giulia ha usato questa parola, mi frulla per la testa di portare su questo gruppo una mia riflessione.
Se con bootcamp intendiamo un luogo, anche virtuale, in cui affinare i propri progetti, lavorarci sopra, allenarsi ai cambiamenti ed infine concretizzarli, allora negli antichi testi indiani possiamo trovare un antichissimo esempio di bootcamp: la BHAGAVAD GITA. Una parte del poema epico per eccellenza della cultura Indù, il MAHABHARATA che sta agli Indù come a noi Italiani potrebbe stare l’Orlando Furioso dell’Ariosto.
La Bhagavad Ghita raccoglie in 18 capitoli tutti i vari aspetti dello yoga, partendo dall’esperienza di Arjuna, un principe guerriero che, per riconquistare il suo regno, deve combattere contro i suoi parenti, lo zio, i cugini ed il suo anziano ed amato maestro.
Arjuna rappresenta noi, il campo di battaglia la vita, i parenti lo zio ed il maestro gli aspetti di noi che non ci piacciono.
In soccorso di Arjuna, che prima della battaglia siede depresso e scoraggiato (un po’ come ci sentiamo noi in questo momento di nuova chiusura) che non vede una via d’uscita e non sa decidersi sul da farsi, arriva Krishna, il dio che rappresenta la parte spirituale presente in ognuno di noi, e lo sgrida. Gli ricorda i suoi doveri di guerriero ed anche la sua cecità nel non vedere oltre a questa battaglia. Insomma, gli ricorda che se rimane in uno stato yoga, in unione con se stesso, non solo può vincere la sua battaglia, ma può radicalmente cambiare il suo punto di vista nei confronti della vita. Chiaramente questa è la semplificazione della semplificazione della Ghita, ma per il nostro bootcamp può essere un inizio.
Siamo in una situazione estrema, pesante e soprattutto con un finale imprevedibile. Vogliamo arrenderci e lasciarci andare, oppure vogliamo cogliere questo momento per trovare in noi forze ed energie di cui forse non sospettavamo neppure l’esistenza?
Allora, da bravi bootcampisti, da dove possiamo iniziare?
Direi dal conoscere il nostro campo di battaglia: dove dovremo svolgere il nostro allenamento.
Quindi iniziamo con il sederci comodamente a terra, su una sedia, sul letto o sul divano, insomma dove volete.
Rimanete per un attimo semplicemente presenti a voi stessi. Mi chiedete come?
Come insegna da subito Krishna ad Arjuna: raddrizzate la colonna, il collo ed il capo e poi trasferitevi con l’esperienza dentro di voi, chiudendo gli occhi e cercando di avere una visione interna della vostra esperienza.
Non ci riuscite? Nessun problema, aiutatevi ponendo le mani ai lati del vostro punto vita e rimanete lì con il vostro pensiero. Come sentite questa zona del corpo? E’ piena o è vuota, è rigida o morbida, pesante o leggera?
Continuate con questo body scanner sui vari segmenti:
- torace, mettendo le mani all’altezza del petto
- collo, poggiando delicatamente le mani al lato del collo e ripetevi sempre le stesse domande
- Andate infine verso le ossa delle creste iliache, e poggiate le mani sui fianchi bassi.
Gli occhi sono chiusi, il respiro ci aiuta a percepire la parte, intanto noi registriamo la nostra esperienza.
Iniziamo a riconoscere le parti che sentiamo più piene, più rigide, più pesanti, e prendiamone mentalmente nota.
E una volta individuato il punto che ci sembra più urgente da ripulire, semplicemente portiamoci la nostra consapevolezza e iniziamo a lavorare dall’interno con il respiro.
Riempiamo quel punto con un atto di inspiro, percepiamo come un palloncino che si gonfia e poi, durante un atto di espiro, lasciamo andare. Il palloncino si sgonfia e ripetiamo per una decina di respiri.
La mente inizia a placarsi, il corpo inizia a distendersi, il respiro si regolarizza, le emozioni e i pensieri sfumano. Possono, a questo punto, emergere dei ricordi e delle memorie, delle immagini, dei colori o dei pensieri che si erano rifugiati in quel punto del nostro corpo. Allora li lasciamo andare senza trattenerli, perché il nostro scopo è pulire, ordinare, allenare e ritrovarci, senza attaccamento a quello che è stato.
Provate a portare questa pratica nei vari segmenti che abbiamo sperimentato prima. Usate le mani come dei sensori di sosta. Ed alla fine cercate di portare l’attenzione allo schermo luminoso che percepite davanti agli occhi e provate a respirare attraverso questo schermo. Forse potrete provare, nell’atto d’inspiro, una sensazione del bulbo oculare che si muove verso il cranio e, nell’atto di espiro, la sensazione che vada verso le palpebre. Ed infine rimanete qualche istante nell’esperienza di Drasda, il testimone, l’osservatore. Il vostro campo è li ma voi lo guardate con la giusta distanza e non vi identificate in esso.
Ripetete se volete tre volte la sacra Om, lasciando la voce in un sussurro e la vibrazione che si espande.
Ricordatevi che solo con la pratica possiamo avere l’esperienza, non scoraggiatevi se non riuscite subito. Vi assicuro, che come dice Krishna, è solo una questione di yoga con se stessi.
Alla prossima esperienza,
Shanti a tutti.
Elena
Disegni in apertura: Dr.Bholeji